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Maurizio Colasanti, la musica come forza creatrice

«Viviamo un momento drammatico, un momento storico in cui si sono saldate, come fossero pezzi di un puzzle doloroso, da un lato l'insipienza di parte della classe dirigente distratta dal facile e per nulla attratta dall'abnegazione e...»

Data: 12/07/2017

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“E’ necessario sapere moltissime cose, per poi ricavare la musica da ciò che non si sa.”

Questo  aforisma del  compositore francese Paul Dukas  (1865-1935) potrebbe forse esprimere la concezione artistica di Maurizio Colasanti, uno dei più preparati, intelligenti ed attenti direttori d’orchestra italiani  del nostro tempo. Nome di tutto rispetto il suo, per la profondità della sua preparazione e naturalmente per l’altissima qualità delle sue interpretazioni, ma forse – come purtroppo sovente accade – più apprezzato all’estero che in Italia, malgrado una carriera di tutto rispetto.

Classe 1966, è quello che si può davvero definire un talento precoce: all’età di sette anni il suo maestro gli fa tenere il suo primo concerto solistico con la banda del suo paese. E sono solo i primi … accordi: ottiene il  massimo dei voti con lode al conservatorio  di Pescara e il massimo dei voti cum laude per una laurea in filosofia che dà uno spessore speciale alla sua preparazione musicale;  studia composizione e direzione d’orchestra con maestri di prim’ordine a Ginevra, Budapest, Vienna. Il suo curriculum comprende interpretazioni, sia del repertorio sinfonico che lirico, con alcune tra le orchestre più prestigiose a livello nazionale e internazionale e con un repertorio che spazia dal Barocco sino al Novecento; senza contare che è invitato regolarmente come docente in alcune delle più prestigiose scuole di musica internazionali.

Un musicista, dunque, di cui si può essere davvero orgogliosi e si spera possa giungere anche in Italia ai palcoscenici più “gettonati”, che non sempre, purtroppo, toccano necessariamente ai migliori.

 

Maestro Colasanti, in un periodo di crisi, la cultura è purtroppo la prima a soffrire tagli e riduzioni di bilancio. Per quanto riguarda la musica classica e soprattutto le fondazioni liriche, il problema sembra essere particolarmente doloroso. Lei cosa ne pensa?

Viviamo un momento drammatico, un momento storico in cui si sono saldate, come fossero pezzi di un puzzle doloroso, da un lato l'insipienza di parte della classe dirigente distratta dal facile e per nulla attratta dall'abnegazione e dalla cura richiesta dal bello, dall'altra parte da un corporativismo che, anziché fare l'interesse supremo del lavoratore, ha inseguito inutili richieste e impresentabili ragioni, senza mai chiedersi fino in fondo qual era e qual è l'essenza ultima di un uomo di teatro.  Il principio della compiacenza inoltre ha decretato lo stato di catalessi di molte orchestre e teatri italiani: ormai c'è una ricerca puerile di consenso al ribasso che ci sta portando verso una mediocrità ed una marginalità spaventose.

 

[Leggi tutta l'intervista.]

 
 

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